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L’ansia è un’emozione naturale, di per sé utile all’adattamento. Basti pensare che, senza ansia e paura, l’uomo non sarebbe sopravvissuto e non sopravvivrebbe ai pericoli. L’ansia è un’alleata nel momento in cui bisogna affrontare una prova, una situazione in cui è necessaria una notevole dose di attenzione e concentrazione. Una certa quota di ansia è dunque utile nella quotidianità, ma, in alcune situazioni, quando è eccessiva può bloccare l’individuo, trasformarsi in panico e può diventare patologica.
L’ansia viene sperimentata quando gli esseri umani credono di essere esposti ad una minaccia più o meno imminente e grave. L’ansia è generata non dall’evento in sé, ma dai pensieri che facciamo su quello che sta accadendo (o accadrà).
L’ansia e la paura sono due emozioni simili nella loro manifestazione fisiologica (attraverso sintomi fisici quali tachicardia, respirazione affannosa, sudorazione, senso di nodo alla gola, ecc.), entrambe sono la reazione ad una minaccia ma differiscono sostanzialmente perché:
la paura è una reazione emotiva ad un pericolo reale.
l’ansia è una reazione emotiva ad un pericolo percepito.
Per gestire l’ansia alla radice dobbiamo andare alla motivazione profonda scatenante la sintomatologia ansiosa.
Se ho un carattere ansioso, non potrò cambiarlo totalmente, ma sicuramente riuscire a sviluppare una serie di competenze personali ed emotive in grado di gestire al meglio l’ansia nel corso della mia vita.
Promuovendo la consapevolezza dei nostri stati emotivi, possiamo provare ad accettare i vissuti ansiosi e impararli a gestirli diminuendo la loro risonanza!
La depressione colpisce milioni di persone nel mondo ogni anno ma la maggior parte di quanti patiscono questo dolore insopportabile non cerca mai una cura e ne soffre in silenzio.
La depressione è un disturbo complesso che coinvolge pensieri, emozioni, comportamenti e vissuti. Impedisce di godere dei piaceri più semplici della vita, trasformando la persona nel suo peggior nemico.
Porta la persona a sentirsi perennemente triste, sola, a criticarsi per ogni minima imperfezione, a ripensare continuamente ai propri errori e a perdere ogni speranza. Quando si è depressi ci si sente quasi sempre senza energia, non si prova piacere per le cose che prima lo erano e ci si sente disperati senza sapere fino in fondo il perché. La persona che soffre, nel suo cuore sa cosa la depressione voglia comunicarle. Ma l'impossibilità percepita per cambiare le cose, annienta ogni forza e si ritrova a fissare il vuoto e a soffrire pene tormentose.
Ricapitolando i sintomi più tipici sono la profonda tristezza, la mancanza di energia, anedonia (mancanza di interesse nel fare le cose), forte compromissione del giudizio di sé.
Cosa possiamo fare per provare a cambiare questo stato?
1. Chiedere aiuto, è molto importante in questi momenti ricevere dagli altri il sostegno, l’affetto e l’attenzione necessaria, tenendo a bada quei comportamenti che alla lunga possono allontanare proprio chi vi vorrebbe dare una mano. Per imparare a chiedere aiuto in modo costruttivo è importante comunicare in modo chiaro ciò che si prova, descrivendo le proprie difficoltà per quello che sono e cercando, al contempo, di considerare le possibili soluzioni, tramite un percorso di autoconsapevolezza, iniziare un lavoro su noi stessi per iniziare a far emergere ciò che ci fa stare così male.
2. Stare con le emozioni negative, queste ultime sono segnali e solo riconoscendole e accentandole si può iniziare il processo di cambiamento. Attraversandole o negandole non facciamo altro che rinforzarle.
3. Il Secondo punto ci aiuta a “darci una carezza”, impariamo a non etichettarci negativamente perché stiamo male o a sentirci in colpa per questo.
L’ansia sociale si caratterizza per la presenza di una paura intensa e persistente nel confrontarsi con situazioni in cui ci si espone al giudizio degli altri. Chi ne soffre teme di apparire imbarazzato, incapace, ridicolo o di agire in modo inopportuno e umiliante. Non va confusa con la timidezza o con una fase di disagio sociale temporaneo che si attenua col passare del tempo.
Non è l'imbarazzo il tratto distintivo dell'ansia sociale, ma il timore di essere giudicati negativamente o di essere oggetto di derisione o umiliazione. Questo può portare a pensieri ansiosi catastrofici e sintomi fisici come tremore e crisi simili a quelli provocati dagli attacchi di panico.
Immaginiamo di essere in esame e di essere giudicati in maniera determinante, ma di essere nervosi al punto di presentarsi alla commissione indossando solo il pigiama e le pantofole. Questa situazione estrema rappresenta la sensazione che una persona affetta da ansia sociale prova quando deve rapportarsi con gli altri o parlare in pubblico. Si sente fuori luogo e inadeguata, e questa sensazione può invalidare ogni argomentazione o idea che ha. La vergogna e l'umiliazione sono i suoi unici compagni di vita.
L’esperienza della vergogna è comune a tutti e può insorgere quando si ha l’impressione che la propria immagine o reputazione sia compromessa e che gli altri la giudichino negativamente. La vergogna riveste una funzione rilevante nel disturbo d’ansia sociale, portando la persona ad arrossire, a restringersi e a voler evitare determinate situazioni.
Tuttavia, in chi soffre di ansia sociale, la vergogna viene percepita come una debolezza. In questo caso, si manifesta un problema di metavergogna: la persona si vergogna di provare la vergogna stessa e si sente ansiosa all’idea di essere giudicata per questo motivo.
Provare vergogna non è un errore, anzi: solo accettando il rischio di rivelarsi in situazioni imbarazzanti è possibile apprendere a gestire questa emozione e ridurne l’intensità.
Per provare a gestire meglio questa condizione può essere utile fare un lavoro di consapevolezza personale con una terapia focalizzata sulle emozioni, lavorando sull’accettazione delle emozioni, diminuendo così il livello di giudizio interno e accentandosi in tutte le nostre sfaccettature.
L'attacco di panico può essere descritto come una comparsa inaspettata di paura intensa che raggiunge il culmine nel giro di pochi minuti.
I sintomi prevalenti sono: palpitazioni, sensazione di soffocamento, sensazione di essere fuori dalla realtà, dolori al petto, eccessiva sudorazione, paura di morire.
Spesso il primo attacco di panico sopraggiunge improvvisamente in una vita che, apparentemente, procede nella norma (è ricorrente la frase: "è stato un fulmine a ciel sereno").
Le storie raccontate dalle persone che soffrono di attacchi di panico sono varie, ma ciò che le accomuna è la minaccia di perdita di relazioni e basi sicure. Il vissuto di solitudine genera il timore di affrontare il mondo.
Non è un evento esterno che determina il modo in cui io mi sento, ma il mio mondo interiore (fatto di emozioni, eventi passati, visione della vita in generale) che determina le emozioni che provo a seguito della situazione che sto vivendo adesso. E questo vale per qualsiasi evento io stia vivendo. L'attacco di panico è una voce che spinge per essere ascoltata.
Quando l'attacco di panico arriva, siamo costretti a riprendere in mano i nostri bisogni, ciò si verifica in terapia quando si apre la possibilità di entrare in contatto con parti di sé che si credeva non esistessero.
In psicoterapia paziente e terapeuta lavorano insieme per favorire la consapevolezza e dare senso ai propri vissuti, permettendo alla persona di comprendere il significato dell'attacco di panico all'interno della propria storia di vita al fine di trovare nuovi modi per comunicare il proprio bisogno di sentire l'altro vicino.
Si parte dall’ascolto e dal racconto di quel momento così impattante, all’accettazione di parti difficili da riconoscere, fino a ricontattare le proprie risorse.
Non si tratta, quindi, solo di gestire i sintomi (comprensibilmente il “tornare come prima”) ma si cerca di lavorare per costruire un terreno sicuro dove poter riprendere a camminare. Per questo è essenziale agire con gradualità per costruire gradualmente una certa solidità!
La separazione dal partner può essere uno dei momenti più dolorosi della vita. Nella mia esperienza professionale, ho incontrato molte persone che, per la prima volta, hanno varcato la soglia del mio studio dopo una separazione, spinte dalla forte sofferenza che provavano.
Questo perché, per molte persone, la separazione si traduce in un senso di abbandono che risveglia antiche paure dell'essere umano. Naturalmente, in base alla nostra storia personale e al modo in cui abbiamo vissuto il tema dell'abbandono, le reazioni a questo dolore possono essere varie. Alcuni vanno in profonda angoscia, nel terrore di restare soli, mentre altri dimostrano un dolore più contenuto. Comunque, per tutti lasciare il partner è una sfida difficile.
La fine di una relazione può essere paragonata a un "lutto" e per elaborare queste emozioni bisogna attraversare diverse fasi, che vanno dalla negazione iniziale ad un processo di accettazione e ripartenza.
Ma quando è il momento di chiedere aiuto?
Quando prevale la sensazione di non farcela e di non tollerare l'angoscia.
Quando questa fatica impatta sulla vita quotidiana, in particolare quella sociale e lavorativa o studio.
Quando ci rendiamo conto che le nostre emozioni più scomode, rabbia, angoscia, ansia, tristezza, sono particolarmente amplificate.
Quando la paura della solitudine e lo scoraggiamento di non poter ripartire diventano predominanti.
Brevi suggerimenti:
Non negare e minimizzare il dolore, smettere di soffrire è una richiesta irreale e incongruente col momento che si sta vivendo.
Provare a non isolarsi e cercare comunque sostegno tra amici e cari.
Non chiedere troppe informazioni sulla vita dell'ex partner.
Prendersi cura di sé per facilitare l'elaborazione.
LA PSICOTERAPIA DI COPPIA: COME PRENDERSI
CURA DELLA RELAZIONE
La psicoterapia di coppia è uno strumento che si focalizza sulle dinamiche e sulle problematiche che possono sorgere all'interno di una relazione amorosa. Questo tipo di terapia si concentra sull'aiutare entrambi i partner a comprendere meglio le loro emozioni, le aspettative reciproche e i modelli di comunicazione che possono influenzare negativamente la relazione. La psicoterapia di coppia offre uno spazio sicuro e neutrale dove i partner possono esplorare i loro conflitti e le loro differenze, cercando soluzioni e strategie per affrontare le situazioni problematiche. Attraverso l'aiuto di un terapeuta esperto, le coppie possono imparare ad ascoltarsi reciprocamente, a comunicare in modo più efficace e a sviluppare una maggiore consapevolezza delle proprie dinamiche relazionali. La psicoterapia di coppia può essere un valido supporto per affrontare le crisi e le difficoltà che possono sorgere all'interno di una relazione, aiutando i partner a ristabilire l'intimità emotiva e a costruire una relazione più sana e soddisfacente.
Quando la psicoterapia di coppia funziona?
La psicoterapia di coppia funziona se vi sono alcune condizioni importanti: è possibile perseguire obiettivi che permangono a lungo termine cioè vantaggi che possono prolungarsi anche al termine della terapia per alcuni anni. Ma l’esperienza nel campo ci dimostra che questo può avvenire se le persone che compongono la coppia si impegnano durante la psicoterapia a comprendere quale è la forma di comunicazione negativa che avviene nei momenti di incomprensione. Questo è importante perché successivamente durante la psicoterapia e con l’aiuto del terapeuta di coppia, la coppia apprende nuove forme di comunicazione più efficaci e fruttuose.
La storia di molte coppie è costellata di fallimenti. Spesso i membri della coppia hanno fatto tentativi, non riusciti, per preservare la relazione o per farla sopravvivere a momenti di crisi. Talvolta si consulta uno psicoterapeuta di coppia come ultimo tentativo, dopo aver constatato di non aver più nulla da poter fare. Questo scoraggiamento iniziale è molto comune e non è un ostacolo alla terapia. Man mano che il lavoro avanza, ciascuno inizia a capire quale sono le trappole in cui involontariamente si cade e a comprendere come fare diversamente. Man mano la coppia prende consapevolezza del presentarsi dei vecchi schemi di azione e reazione e ad impegnarsi attivamente per sostituirli con modalità interattive più positive ed utili.
Che cos’è la dipendenza affettiva?
Distorsione relazionale che implica un entrare in relazione con l’altro e, conseguentemente, perdere se’ stessi. (Borgioni, 2015)
La dipendenza affettiva presuppone, fondamentalmente, la perdita della propria autonomia all’interno della relazione di coppia, avviene una sorta di annullamento di noi stessi.
Bisogno di vicinanza, sostegno, intimità, come la ricerca di conforto in caso di stress o preoccupazioni e il senso di mancanza del partner in caso di lontananza, sono tutti vissuti che ognuno di noi ha provato all’interno di una relazione di coppia sicura, questi bisogni si amplificano, in una forma di dipendenza, quando si inizia a manifestarli mettendo a rischio la propria autonomia e soggettività nella relazione.
Lo stile relazionale diventa rigido, si percepisce una paura eccessiva di essere abbandonati e, in certi casi, si idealizza il partner e la relazione stessa.
A livello emozionale sono amplificate emozioni come la paura, la rabbia, l’angoscia, senso di inadeguatezza che conseguentemente possono portare atteggiamenti di passività, sacrificio dei propri bisogni, adattamento unidirezionale alle richieste dell’altro, culminando in una sorta di protesta impotente e silenziosa.
In questa situazione è molto importante iniziare a riconoscere di avere una difficoltà, di non cancellare o evitare la sofferenza e prendersi immediatamente cura di sé.
L’intervento psicologico, attraverso la condivisione e la comprensione, può essere utile a consapevolizzare le proprie sofferenze e provare ricontattare le proprie risorse e favorire un processo di cambiamento che va verso la riappropriazione della propria indipendenza.
L'ansia da prestazione sessuale è una condizione emotiva che viene provata prima, durante o dopo l'atto sessuale. Si tratta di un sentimento di preoccupazione eccessiva, paura e tensione che può influire negativamente sull'esperienza sessuale. Questo tipo di ansia è presente tra gli uomini rispetto alle donne con sintomatologie diverse:
Negli uomini possiamo riscontrare: disfunzione erettile, eiaculazione precoce, inibizione dell’orgasmo, diminuzione della libido o calo del desiderio.
Nelle donne possiamo riscontrare: difficoltà o impossibilità a raggiungere l’orgasmo e il piacere, forte dolore genitale durante la penetrazione e a volte anche durante il rapporto, vaginismo, disturbo dell’eccitazione e calo del desiderio.
La causa alla base dell'ansia da prestazione non è sempre chiara ma può essere associata a fattori biologici o genetici, pregiudizio culturale o religioso, insicurezza personale o problemi relazionali. L'ansia da prestazione sessuale può essere trattata con l'aiuto di uno specialista, attraverso terapie individuali o di coppia, farmaci o tecniche di rilassamento.
Come influisce sull'affettività e la coppia?
L'ansia da prestazione sessuale può avere un impatto significativo sull'affettività e sulla relazione di coppia. Se non affrontata, può portare a problemi di comunicazione che possono causare distanza emotiva, frustrazione e ansia all'interno della coppia. L'evitamento del contatto fisico può inoltre ridurre la vicinanza emotiva tra i partner e può persino indurre alcuni partner ad aspettarsi meno dalla relazione o addirittura ad abbandonarla. Inoltre, l’ansia da prestazione potrebbe anche aggravare problemi preesistenti nella relazione come la mancanza di fiducia o risentimento reciproco. Pertanto, è importante gestirla per garantire il benessere nell’affettività e nella coppia.
Come riconoscere i sintomi dell'ansia da prestazione sessuale?
L’ansia da prestazione sessuale è un disturbo che, se non affrontato adeguatamente, può portare a problemi relazionali e di salute. Riconoscere i sintomi dell’ansia da prestazione sessuale è un primo passo per affrontare efficacemente il problema. I principali segnali di allarme sono: mancanza di desiderio, insicurezza nell’esprimere le proprie preferenze ed esigenze durante l’attività sessuale, preoccupazione costante per la propria performance sessuale e pensieri negativi verso il proprio corpo. Se si riconoscono questi sintomi è importante fare un passo indietro ed esplorare le cause del disagio: solo così sarà possibile trovare la risposta giusta alle difficoltà che si stanno vivendo.
Come gestire l'ansia da prestazione sessuale?
L'ansia da prestazione sessuale è un problema comune, ma può essere gestita in modo efficace. Per prima cosa, è importante prendere tempo per parlare apertamente con il partner di come ti senti. Cercare di capire quali sono le cause della tua ansia ed esporle apertamente al partner vi aiuterà entrambi ad avere una maggiore comprensione reciproca. Inoltre, condividere le proprie paure e preoccupazioni con il tuo partner contribuirà anche ad alleviare la pressione. In secondo luogo, impara a rilassarti prima del rapporto sessuale. Il rilassamento fisico può diminuire l'ansia e l'attenzione intensa sull'esito del rapporto sessuale, provando a spostare l’attenzione sul dare e ricevere piacere.
Consultare un professionista della salute mentale è spesso la mossa migliore per affrontare problemi più complessi legati all'ansia da prestazione sessuale o all'affettività o alla coppia in generale. Un terapeuta sarà in grado di offrire ascolto non giudicante e uno spazio dove poter esprimere in modo autentico e protetto le proprie preoccupazioni, fornendo supporto specifico che potrebbero non essere disponibili altrove; questa opzione sarà in grado di fornirti gli strumenti necessari per affrontare i tuoi timori riguardo al sesso e alle relazioni sentimentali più ampie che le circondano.
A volte è difficile capire quando sia opportuno intraprendere un percorso di psicoterapia, pur cogliendo il bisogno di prenderci cura di noi. Spesso temporeggiamo e rimandiamo per due motivi opposti ma collegati tra loro:
La paura di aprire ferite e vissuti dolorosi che abbiamo cercato con fatica di dimenticare ed eliminare.
Il costrutto, molto potente nella nostra società, di dovercela fare da soli esclusivamente con le nostre forze. Chiedere aiuto è sinonimo di debolezza.
Il primo passaggio è legittimarsi, gradualmente che c'è qualcosa che non ci fa stare bene, partendo dalla quotidianità, evitando di evitare. La legittimazione permette di aprirsi verso noi stessi e, soprattutto, iniziare a chiedere aiuto per dare inizio al processo di consapevolezza e cambiamento.
Schematicamente ecco un elenco di motivi che possono indurti a iniziare un percorso di psicoterapia:
Un momento di grande cambiamento di vita che sta impattando sui tuoi livelli di stress
Ti senti in stallo e non riesci a uscire dal tuo stato di immobilità;
Desideri comprendere, modificare o migliorare aspetti di te o della tua vita;
Alcuni sintomi ti limitano nella quotidianità;
Le tue relazioni sono tese o conflittuali e dopo un'interazione (con il partner, un familiare o un amico) ti capita regolarmente di sentirti infelice, arrabbiato o a disagio;
Hai difficoltà a creare relazioni sentimentali stabili o problemi nelle relazioni sentimentali attuali.
Per autostima intendiamo la valutazione che ognuno di noi dà di se stesso. All’interno di questa valutazione ritroviamo: la soddisfazione per noi stessi, la consapevolezza del nostro valore e la fiducia nella capacità di poter svolgere un determinato compito.
L’autostima ovviamente non è un riflesso reale delle nostre competenze, ma riguarda la considerazione che ognuno di noi ha di sé stesso. Rappresenta un giudizio globale su sé stessi e sulle proprie capacità, che si accompagna ad un senso generale di auto accettazione e ad un atteggiamento positivo verso sé stessi.
Una percezione di bassa autostima fa aumentare il bisogno di essere stimato dagli altri, si crea un meccanismo di dipendenza dal giudizio esterno. Si manifesta una tendenza a non provare quasi mai soddisfazione in quello che si fa, indipendentemente dal livello di competenza. C'è una ricerca di un livello di perfezionismo irreale e severo. Si possono manifestare conseguenze sociali quali isolamento. Non si è mai abbastanza.
Questo circolo vizioso può essere modificato mettendo in moto un processo che si basa su due principi: aumento della consapevolezza e l'accettazione dei propri limiti e di sé stessi in modo incondizionato.
Solo in in questo modo si può iniziare a percepire un senso di graduale di fiducia verso sé stessi, allentando la morsa del giudice interno, e iniziare a coltivare un senso di autoefficacia, cioè la consapevolezza di essere capace di dominare specifiche attività, situazioni o aspetti del proprio funzionamento psicologico o sociale.
La Comfort Zone rappresenta il nostro stato naturale confortevole, nel quale stress e ansia sono al minimo, perché sappiamo quello che accade e possiamo muoverci disinvolti, pianificare senza imprevisti. È la nostra zona di sicurezza.
Non è uno spazio reale ma un costrutto psicologico, emozionale, comportamentale che definisce la routine della nostra vita quotidiana.
Durante la pandemia che ha destabilizzato molte certezze, molti di noi hanno sperimentato a pieno il significato di “stare nella comfort zone”. Abbiamo dato la colpa della nostra inattività a cause di forza maggiore o esterne. In realtà ciò che ci trattiene dal fare un passo verso un cambiamento spesso è legato ad una emozione: la paura e conseguentemente il rischio.
Perché ricerchiamo la nostra zona di comfort? Il nostro cervello, secondo il principio di minimizzazione del dispendio energetico, utilizza percorsi già conosciuti e semplici.
Va, però, sfatata la credenza che uscire dalla zona sicura significhi andare incontro al pericolo e che il prezzo da pagare per il proprio benessere sia troppo alto.
Uscire dalla comfort zone significa superare i propri confini, crescere, guardare in prospettiva, aprirsi al nuovo e imparare nuove abilità. A livello celebrale quando si smette di imparare e un’area non viene più utilizzata, viene distrutta; per cui anche i neuroni, come il nostro corpo, ha bisogno di essere alimentato e allenato attraverso continue sfide.
Spingere i propri limiti è un po’ come allungare sé stessi, fare stretching a livello psicologico per scoprire le proprie possibilità e risorse.